Silvia Pegoraro – Le ceramiche di Camillo Catelli, o le metamorfosi del frammento
La ceramica italiana del XX secolo può vantare un primato nel contesto europeo e mondiale sia per la quantità delle espressioni, sia per i livelli qualitativi ottenuti, e si presta in modo particolare al superamento della tradizionale e rigida contrapposizione tra ”arte pura” e ”arte applicata”, 0 “decorativa”, contrapposizione peraltro sempre avversata da studiosi di straordinaria levatura intellettuale come Gillo Dorfles.
Nel corso del secolo scorso |’arte della ceramica si e emancipata da un ruolo minore e ha guadagnato un posto paritario rispetto ad altre forme di espressione artistica. Nell’ambito di significative tendenze quali I’Art Nouveau, il Futurismo o l’lnformale, la ceramica ha contribuito in modi talmente alti da meritare a pieno titolo un inserimento nella storia dell’arte moderna e contemporanea. E infatti possibile ripercorrere |’intero arco dell’arte italiana dall’inizio del ’9OO al tempo presente seguendo il filo conduttore di questa terra sublimata dal fuoco, questa materia assoluta e primaria, duttile e capace di continua rigenerazione rispetto alle ricerche contemporanee. “Mi piaceva quella materia docile e avevo il gusto di tentare esperimenti difficili”- spiega ad esempio Lucio Fontana nel 1964 – “e mi attraeva quel colore smaltato, incorruttibile, che nessun’altra materia colorata avrebbe potuto darmi”.
lmmaginazione visionaria e tensione espressiva s’intrecciano dunque nell’universo poetico di una tecnica e di un materiale di cui un artista come Camillo Catelli ha saputo cogliere ed evidenziare energie eterne e tensioni irriducibili, che insieme a squarci lirici di grande fascino cromatico emergono nelle sue sculture in ceramica. Un artista che ama sperimentare, ma sempre in una prospettiva evoluzionistica della propria opera, senza dimenticare il passato e senza smettere di meditare sulle precedenti esperienze. Un sapiente Maestro della materia e del gesto, che ha saputo orientare i suoi studi accademici – in particolare |’insegnamento di Fazzini – in direzione di un dialogo con la tradizione e con Ia storia, ma aperto alle vibrazioni più intense e vive della materia, convincendoci, sulle tracce di Lucio Fontana, che la scultura stessa non <1:-forma, ma spazio. E come in Fontana, anche nelle sculture di Catelli, spesso dominate da azzurri e turchesi acquamarini, il “decorative” fascino cromatico lascia poi scaturi re una grande tensione emotiva, che carica i| colore stesso di una vivida risonanza interiore.
ll colore, non tanto rende visibile Voggetto, quanto sottoiinea la parte ”invisibile” della sua natura, la parte interiore e fantastica. Il colore, la linea, non descrivono l’oggetto della visione ma lo fanno apparire e scom- parire, in un’intermittenza che esprime lo stesso essere evanescente della luce, e in cui si fa visibile e presente un’assenza (|’interiore, il fantastico, il metaforico). Benché la scelta di Catelli ceramista si orienti qui verso le piccole-medie dimensioni, le opere non individuano uno spazio chiuso che costringe le forme, ma respirano liberamente, nelle loro linee tremule 0 affiilate, comunque inquiete, erranti e vibranti, melodiose 0 contrappuntistiche. Una personalissima ricerca, dunque, dove le voci degli artisti con cui sembra aver dialogato (Fazzini, Medardo Rosso, Leoncillo, Melotti, Fontana, appunto…) si fondono nella sua inconfondibile voce: esplorazione di una realtà carica di suggestioni “narrative” e “visionarie”, scolpita in un lin-guaggio pungente quanto onirico e ”fiabesco”: Ia dimensione di quelle ”ragioni ultime del mito”, che ne||’0pera di Catelli ha saputo cogliere Ruggero Savinio, scrivendone in un suo splendido testo del 2008. Que- ste sculture dalle intonazioni Iiriche, dagli intensi valori cromatici, sono prive di ogni monumentalità oratoria; gli stessi disegni preparatori ne rivelano la tendenza a una spazialità di compenetrazione ambientale qui il colore accentua le superfici in vista di un più drammatico risalto.
Queste sculture costituiscono una mediazione tra pittura e scultura: gli accenti coloristici, la prevalente bidimensionalità, 0 comunque la volontà di por-re il fruitore di fronte all’opera da un solo punto di vista, sembrano giustificare |’uso di una definizione come “scultura pittorica”. A ciò si aggiunge l’uso cli “cornici” per inquadrare |’immagine, che non pub non richiamare alla mente i “Teatrini” di Fontana (’64-’66), ”bar0cchi” in quanto perfetta rappresentazione della metafora barocca del “theatrum mundi”: spazio che si stratifica in ”quinte”, scenari, sipari, prosceni, moltiplicandosi all’in-finito. Ma non del tutto infondato é forse anche il riferimento alla tenue musicalità, “fatta di nulla”, alle labili geometrie dei teatrini melottiani…
Cercare di comprendere la scultura in un’ep0ca in cui le differenze tra le arti sono tanto esili, può sembrare un’operazione destinata a tracciare i contorni di un fantasma, di qualcosa che appartiene ormai solo al passato, poiché le arti, oggi, producono espressività facendo agire mezzi diversi, fino alla fusione. D’altra parte, la maggior parte di noi, uden- do il termine “scultura”, ha ancora la visione mentale immediata di una qualche “statue”… La scultura lingua morta di Arturo Martini e il testo che – già nel 1945 – esprime nel modo più caustico e tormentato tutto il disagio legato a questo equivoco, a questa strettoia funzionale, e ne indica una sorta di via d’uscita nella presa di coscienza di tutta la forza tattile della scultura. Qualche anno dopo anche Herbert Read, in The Art of Sculpture (1956), afferma che lo spazio cui la scultura fa riferimento non é quello ottico, bensì quello tattile. L’opera di Catelli sembra attin- gere all’essenza originaria del pensiero visivo e alle radici primarie della materia-forma, proprio rifiutando |’idea della scultura come “immagine e somiglianza” e valorizzando la dimensione tattile e aptica a cui facevano riferimento Martini e Read, affermando la necessità che il tatto entri a far parte integrante della vista, nella percezione de||’opera. Cosi, in un affascinante gioco di spessori materici e guizzi gestuali, legati a una sorta di “piacere del testo” (Roland Barthes), Catelli recupera il piacere insieme tattile e visivo della scultura, in una teoria di solidificazioni e stratificazioni che riecheggiano la sensualità materica dell’informale. La narrazione plastico-cromatica che si dipana dai disegni alle sculture di Catelli, dalle ”carte” alle ”ceramiche”, manifesta una spazialità assoluta- mente “aperta”, dove |’oggetto-opera, la fisicità plastica del manufatto artistico, viene a identificarsi in modo sempre più incisivo con il proces-so, con |’azione, con il gesto-evento, che apre un varco nella materia, la fa oscillare, fluttuare e silenziosamente collassare e rarefarsi: mettere in scena II vuoto, come varco che allude a un “oltre”, luogo in cui si fa visi- bile l’assenza, che non é pero mancanza di essere, ma infinita possibilità di interrogazione sulla complessità dell’essere. L’opera si ternatizza cosi come frammento. II frammento e la sola possibilità che ci e data di percepire |’essere a partire dal non essere, la presenza a partire da||’assenza, il pieno a partire dal vuoto, o viceversa. Nel frammento moderno, che nasce come tale (non cioé come residuo di un intero perduto), i| soggetto moderno espone se stesso come frammentarietà, ripetizione, incompiutezza. Nel frammento moderno il soggetto e frammento. Precarietà, dispersione entropica, complessità, alimentano il respiro della modernità nel frammento, a tutti i livelli de||’espressione umana tra frammento e frammento della mate- ria-forma modellata da Catelli, permane quello “spazio vuoto che scivola tra le maglie del tempo” di cui scrive George Kubler (La forma del tempo), uno spazio interstiziale che ci parla della materia come discrezione, scissione, discontinuità, che si oppone all’idea di materia come fluidità di un continuum. Dividere la materia, mettere in luce le segrete partizioni (partiture) che la go- vernano, in un interminabile opus cellulare, ci rinvia a una delle piu intriganti vocazioni de||’arte musiva. Ma il mosaico e pervaso dall’horror vacui che stringe le tessere in un unico abbraccio che non lascia respiro, né concede pause, intervalli, silenzi…
Per Camillo Catelli, parcellizzare il continuum materiale, evidenziarne la fitta trama discreta, significa invece aprire spazi interstiziali, significa far fluttuare i frammenti in uno spazio virtualmente vuoto. ll flusso delle immagini televisive che ogni giorno invade le nostre case s’identifica con una sorta di metamorfosi indifferenziata e tale da predisporre lo spettatore all’indifferenza e all’anestetizzazione della percezione delle immagini. E’ questo flusso fermo, proprio perché istantaneo, continuo e ininterrotto, che impronta ormai a sé qualsiasi flusso di immagini vissute. Questo flusso percettivo ormai indistinguibile dal flusso telematico, Catelli lo ha ben presente, e pare costituire un suo bersaglio critico: egli lo blocca, lo frantuma, lo taglia, fissandone degli istanti-frammenti, che ci fanno pensare alle parole di Ernst Bloch, secondo il quale “|a realtà non é mai (…) una totalità coerente e priva di lacune. La realta, al contrario, e sempre interruzione, frammento…”1. Tali frammenti ci restituiscono l’intensità di un reale ambiguo e sfuggente, il senso della materia come presenza solida, che si articola in forme: proprio quelio che la messa in streaming del reale tende a fare impallidire, con il predominio della nozione di informazione su quelle di massa ed energia. Nel ”frammento” ceramico di Catelli, in ogni frammento, vive la continuité, si conserva il tempo e la memoria dell’idea. Nel frammento é restituita al proprio valore d’origine la punteggiatura, la pausa, |’interstizio, il collegamento, la nuance. Sono le connessioni significanti, che esistono a||’interno della costruzione per frammenti, ad attirare |’attenzione. Ogni frammento é incastonato in un bianco nulla che é silenzio. La significazione del silenzio come connessione é massima: il modo migliore per concatenare due frammenti é rispettare l’inciugio che li separa. Parte della forza del frammento si misura sulla ospensione che instaura. Le sculture-pitture in ceramica di Catelli sono costruzioni policentriche gravitano intorno a una molteplicità di centri vuoti che sono gli interstizi tra i vari frammenti. Un punto vuoto si moltiplica e da origine a un senso di disseminazione: si viene resi partecipi di una sensazione centrifuga, di sparpagliamento, e insieme centripeta, di ”risucchio” verso un centro, uno dei tanti possibili.
Ma é questa la forma del centro dello spirito frammentario che affonda le sue radici nel Novecento: il frammento convertito in dettaglio allucinatorio, fantasmaticamente ingrandito, 0 il frammento che si rivela forma geneticamente abrasa, divorata dal potere silenzioso de||’intervallo, de||’interstizio. E forma metamorfica, soprattutto forma che si sottrae alimentando la sete di forma, quel desiderio di ”restaurare i frammenti mutilati” di cui parla Novalis, proprio nei suoi Fragmente. E presenza tra spazi di silenzio, improbabile successione ritmica di pieni e di vuoti, segno del nucleo generativo de||’opera, spia di un campo emozionale che pub suscitare nuove, sempre incompiute esplorazioni. Al cuore di quest’arte che lavora sui frammenti e con i frammenti sta la variazione, che é il fantasma di una figura possibile. Ogni testo frammentario evoca un possibile discorso senza fine, interrotto e ripreso successivamente, variato.
Il principio estetico ricavabile si fonda sulla concisione, la successione dei frammenti, la ripetizione dei temi e dei motivi, |’insistenza – “malinconica”? (Benjamin) – su alcune immagini, soggetti e strutture ricorrenti: |’icona del mare medi- terraneo, ad esempio. L’ossessione del nuovo, propria della modernità a partire da Baudelaire, si rovescia cosi, paradossalmente, nel suo opposto, nel flusso ritmico della ripetizione-variazione. E i due aspetti convivono, come le due facce di una medaglia, in una dimensione capace anche di sottrarsi totalmente al tempo e naufragare nel mare silenzioso delle immagini oniriche: a-temporali residui del tempo della nostra vita, di cui, come sostiene Hiilmanz, sono fatti i nostri sogni.