Arnoldo Ciarrocchi – Reggio Emilia, 1980
Presentazione in cat. alla Galleria Salvemini

I Catelli sono trentanove ma potrebbero essere quarantatré. Nessuno di loro può denunciare la esatta situazione anagrafica della famiglia.
C’è sempre uno zio, un cugino, una nipotina che io non conosco e che mi viene indicato da lontano con un nome che posso avere inteso anche tre o quattro volte. Gente discreta e di poche parole capace di domare un puledro, di scannare il maiale e di fondere una campana.

Vivono ai Camaldoli in una grande masseria come una grande famiglia.

Uno pensa alla mucca, un altro alla vigna, un terzo agli ulivi.Tutte le donne in cucina meno Virginia che dipinge. I pittori in famiglia sono tre; il più antico è morto l’anno scorso a novant’anni. Un personaggio leggendario. Di corporatura nobile come un ministro di casa reale od un pittore della Scuola di Posillipo.
Mi diceva che dipingere è come tirare l’aratro. Uno scultore: Camillo.

I Catelli guardano questo giovanotto che organizza disegni grandi come una tela di Luca Giordano con stupore. Si aspettano da lui grandi cose. Sono disegni condotti a punta di penna ma che nell’assieme sembrano una muraglia, una diga, la parete di una miniera di carbone.
E lo lasciano lavorare in pace come le api industriose. Le pratiche ENPAS, le bollette di accompagnamento, l’IVA, l’ILOR, L’ERPAF ed altre ineffabili delizie non lo devono disturbare. Perchè tutte queste cose assieme molto hanno contribuito alla decadenza delle arti ed alla morte della poesia.

A Napoli me lo fece conoscere Maria Teresa una allieva che io ricordo con affettuosa simpatia. Questo ragazzo voleva stampare una lastra incisa all’acquafòrte.

Una lastra immensa, un foglio intero di zinco da lattonieri, grande come un lago ghiacciato, lo ho una opinione precisa sulle misure della lastra incisa ma ci sono grandi pensieri e grandi denuncie che possono essere espressi solo alla “grande maniera”. Eppure è di complessione dedicata ma di fiera guardatura.
Lo si direbbe capace soltanto di tirare su bronzetti come un artefice del Rinascimento o di modellare, così come ho visto, statuine di cera di crosta sottile come quella dell’uovo.
È una infame costrizione che egli denuncia con molto garbo senza offendere nessuno.

Ai Camaldoli quando il tetto di casa è il firmamento stellato e non il pavimento dell’inquilino del piano di sopra che lascia cadere palline di legno rotolanti per la stanza, allora modella statue che toccano con la testa l’Orsa Maggiore, grandi come l’elica di un transatlantico.