Arnoldo Ciarrocchi – 1977
Presentazione in cat. alla Galleria “La Margherita”
I suoi disegni coprono una parete come i cartoni che i decoratori del Cinquecento preparavano per gli affreschi. Sono condotti a punta di penna con l’analisi rigorosa di uno scienziato.
Niente viene mai affidato al caso od alla fugace mutevole impressione. Di scarso eloquio. E questo coincide con il mio modello umano ideale. I Catelli vivono ai Camaldoli a Napoli. Nella scelta del recapito ci deve essere stata una determinazione precisa. Uno sdegnoso isolamento. Che è patente di nobiltà.
Devono essere una trentina in tutto. Nessun convento ha più tante presenze, lo non ancora li conosco tutti. Mi riservano sempre uno zio, un cugino in più, una nipote timida e spaurita come una cerbiatta: una modellina per il patriarca che a novant’anni dipinge ancora cón infinita gioia. Si aiutano tutti. Quando Camillo fonde i suoi bronzi si ripete la scena esaltante della sequenza della fusione della campana in Rubliof.
Egli tira, le cere con la sapienza di un vasaio. Vorrei scrivere di un vasarolo. Le tira attorno ad un vuoto. Una pelle sottile come la coccia d’uovo. Le sue cere hanno il peso di un vaso etrusco. Che è il peso dell’aria che contiene. Quasi niente. Da queste cere ricava bronzi torniti con riflessi dorati come quelli del Cellini e del Giambologna.
Il riferimento al Cellini ed al Giambologna deve essere accettato soltanto per sottolineare l’eccellenza della qualità della scultura di Camillo Catelli e non la sua cultura d’immagine. Diverse inquietudini la muove. E non potrebbe essere altrimenti. Lacerazioni, mutilazioni, involucri macabri (contengano un eroe od una vittima), tronconi di .corpi umani che piombano sulla terra pesanti come meteoriti, uomini che diventano mostri, mostri che si mutano in uomini: la denuncia di un massacro al quale stiamo assistendo sbigottiti giorno per giorno.